RESPONSABILITA’ SANITARIA

Importanti novità in tema di responsabilità sanitaria e, più in generale, in tema di risarcimento del danno: “ il c.d. decalogo di San Martino”

Gli operatori del diritto attendevano che la Suprema Corte si esprimesse su numerose questioni irrisolte in tema di responsabilità sanitaria e, forse, ulteriormente complicate con l’entrata in vigore della Legge 8 marzo 2017, n. 24c.d. Legge Gelli-Bianco; ebbene sono stati accontentati con dieci pronunce – dalla n. 28985 alla 28994 – tutte emesse in data 11 novembre 2019. 

La Terza Sezione Civile della Suprema Corte ha scelto un giorno caro alla tematica del risarcimento del danno per le proprie pronunce, ovvero quel giorno di San Martino in cui undici anni prima con le famose sentenze “gemelle” nn. 26972 – 26975 era stata scritta una delle pagine più importanti in tema di danno non patrimoniale. La Sezione del Presidente Travaglino, oltre ad offrire gli attesi chiarimenti in tema di responsabilità sanitaria, si è resa protagonista di un vero e proprio decalogo all’interno del quale sono state analizzate le categorie di danno più controverse attraverso un excursus delle pronunce più rilevanti ed esemplificazione delle possibili variabili che si possono verificare nel caso concreto.

In particolare le sentenze n. 28994 e 28990 hanno chiarito quale fosse la disciplina applicabile ai fatti antecedenti alla pubblicazione della Legge Gelli -Bianco (ma anche della Legge Balduzzi), affermando il principio di diritto a mente del quale le norme sostanziali di entrambe le predette normative non possono applicarsi retroattivamente a fatti avvenuti precedentemente alla loro entrata in vigore a differenza di quelle che attengono ai criteri risarcitori (con particolare riferimento ai richiami operati agli artt. 138 e 139 C.d.A.) di immediata applicazione anche ai fatti pregressi.

La sentenza n. 28987 ha chiarito quale debba essere il criterio di ripartizione di responsabilità tra struttura e singolo sanitario nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017 e l’onere della prova per il regresso e rivalsa tra condebitori, affermando il principio di diritto secondo il quale nell’ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev’essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d’inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata (tale specifico onere della prova grava sulla struttura sanitaria adempiente).

Le sentenze n. 28991 e 28992 hanno ribadito i criteri di ripartizione dell’onere della prova tra struttura sanitaria/medico e paziente, confermando il principio di diritto a mente del quale ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della propria prestazione professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare – anche a mezzo presunzioni – il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie,  e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione.

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Ed, infine, con le restanti tre sentenze vengono chiarite alcune tipologie di danno che di seguito andiamo ad esporre.

La sentenza n. 28985 analizza il danno da violazione del consenso informato; la pronuncia ripercorre l’ultimo decennio giurisprudenziale concludendo con una rappresentazione schematica dell’istituto: “La violazione da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: a) un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente – sul quale grava l’onere probatorio – se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi  all’intervento (onde non subirne le conseguenze invalidanti; b) un danno da lesione del diritto di autodeterminazione. Si possono ipotizzare le seguenti situazioni:

1. Omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni: in tal caso il danno risarcibile sarà limitato a quello alla salute nella sua duplice componente morale e relazionale.

2. Omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso il danno sarà esteso anche alla lesione del diritto di autodeterminazione del paziente.

3. Omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso oltre al danno da lesione del diritto di autodeterminazione dovrà essere risarcito il danno alla salute (considerando che con l’adeguata informazione l’intervento non vi sarebbe stato) andrà valutato in via differenziale tenendo conto lo stato patologico preesistente ed il danno biologico conseguente all’intervento.

4. Omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che non abbia cagionato un danno alla salute e a cui il paziente avrebbe scelto di sottoporsi: nessun danno.

5. omissione/inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato un danno alla salute , ma che gli ha tuttavia impedito di accedere a più accurati ed attendibili accertamenti (come nel caso della partoriente): il danno da lesione del diritto di autodeterminazione sarà risarcibile se il paziente alleghi che in conseguenza della omessa/inadeguata informazione gli sia derivata una lesione in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, fisicamente e psichicamente (salvo non vi sia una provata contestazione della controparte)”.

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La sentenza n. 28988 in tema di integrità della persona ha, da un lato, chiarito come la personalizzazione del danno debba essere operata in presenza di circostanze “specifiche ed eccezionali” le quali rendono il danno concreto più grave; dall’altro, nel definire ormai superata la definizione di incapacità lavorativa generica ed assorbita nella categoria del danno biologico, ha elencato le casistiche che si possono presentare:

1. La vittima conserva il reddito ma con maggior pena (ad esempio lavora più faticosamente): è il cd danno da lesione della cenestesi lavorativa, ovvero la compromissione della sensazione di benessere collegata al lavoro. Se non vi è contrazione del reddito (il cui danno sarebbe patrimoniale) il danno sarà risarcito con la personalizzazione.  

2. La vittima ha subito una contrazione del reddito totale o parziale: che non significa aver perso il lavoro, ma che non produce reddito e non ne produrrà in futuro. Il danno è patrimoniale da lucro cessante e sarà pari al reddito perduto.

3. La vittima ha perso il lavoro ma potrà svolgerne altri. Il danno anche qui è patrimoniale da lucro cessante e sarà pari al mancato reddito per il periodo di inattività e della differenza tra reddito perduto e il presumibile reddito futuro.

4. La vittima non aveva lavoro e non potrà averlo in futuro. Anche qui il danno è patrimoniale da lucro cessante ed è liquidato in base al reddito che verosimilmente il leso avrebbe percepito in futuro. In tal caso servirà una prova rigorosa con presunzioni gravi, precise e concordanti.

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Infine, nella sentenza n. 28993, la Suprema Corte opera una profonda analisi delle casistiche dei danni risarcibili in via equitativa, andando a chiarire quando correttamente può parlarsi di danno da perdita di chance (possibilità incerta) e quando, invece, il danno che si concretizza in una possibilità (certa) debba ricondursi ad un comune danno alla salute:

a) La condotta del sanitario ha cagionato la morte del paziente, mentre una diversa condotta ne avrebbe consentito la guarigione: in tal caso l’evento sarà attribuibile integralmente alla responsabilità del medico sia in termini di danno biologico che per la perdita del rapporto parentale per i familiari.

b) La condotta del sanitario ha cagionato non la morte che si sarebbe comunque verificata ma una significativa riduzione della durata della vita ed una peggiore qualità della stessa. Il danno risarcibile sarà per questa minor durata e per la peggiore qualità che sono intesi in termini di certezza e, pertanto, non si può parlare di perdita di chance ma di un danno certo.

c) La condotta del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia e sull’evento, ma ha inciso sulla sola qualità della vita e sull’organizzazione del paziente (es. mancato ricorso a cure palliative). Il danno sarà rappresentato da tale diversa e peggiore qualità della vita che si concretizza in lesione del diritto di autodeterminazione, senza che si parli di chance.

d) La condotta del sanitario seppur colposa non ha inciso negativamente sul paziente. Non vi sarà nessun danno risarcibile.

e) La condotta del sanitario ha avuto come conseguenza un danno incerto: ovvero l’esito della CTU prospetta con incertezza una maggiore durata della vita e minori sofferenze ritenute soltanto possibili sulla base delle conoscenze scientifiche del tempo. In questo caso di può parlare legittimamente di risarcimento della (chance) possibilità perduta, purché presenti le caratteristiche di apprezzabilità, serietà e consistenza.

                                                                                               Avv. Saverio Rossi